Qu’est-ce que c’est ça? | Sfrontato
e irriverente, caratterizzato da una satira al vetriolo preferibilmente antigovernativa, il cabaret
ha pestato i suoi primi piedi in Francia alla fine dell’800. La parola cabaret denomina
più cose: nell’originale francese dei secoli precedenti è un locale, che si
differenzia dall’osteria in quanto vi viene servito anche cibo; per estensione
significa “vassoio”, che è anche l’utilizzazione della parola in italiano
(modificato liberamente in cabarè o gabarè); e, nel periodo in cui a Parigi
prendono forma i più inquieti movimenti artistici e culturali, ecco apparire a
Montmartre il primo cabaret della storia: il mitico Chat noir, nel 1881.
Rodolphe Salis au Chat Noir
C o K? | Spettacolo di arte varia, a sfondo satirico ma non necessariamente al di fuori della legge, il cabaret inizia la sua storia raccogliendo artisti per lo più inadatti a una vita professionale normale, come il grande Eric Satie, uno dei pianisti dello Chat noir. La clientela era composta da "una mistura di scrittori e pittori, giornalisti e studenti, impiegati e personaggi stravaganti, così come modelle, prostitute e gran dame alla ricerca di esperienze esotiche", insomma, spiriti irrequieti poco inclini all’atmosfera più salubre e alle luci sfavillanti dell’Opéra. Fin dagli inizi, la satira di questi piccoli e fumosi locali venne vista con irritazione ma anche con una certa permissività, come una valvola di sfogo tutto sommato innocente, e che quindi non era il caso di osteggiare. Ma vent’anni dopo l’apertura del locale parigino, nel 1901, entra in scena il Kabarett tedesco: ha davanti una “K” in più, e ha dentro un notevole carico di veleno. Già il nome del locale la dice lunga: Überbrettl, superpalcoscenico, una presa in giro dell’Übermensch, il superuomo di Nietzsche.
Rodolphe Salis au Chat Noir
C o K? | Spettacolo di arte varia, a sfondo satirico ma non necessariamente al di fuori della legge, il cabaret inizia la sua storia raccogliendo artisti per lo più inadatti a una vita professionale normale, come il grande Eric Satie, uno dei pianisti dello Chat noir. La clientela era composta da "una mistura di scrittori e pittori, giornalisti e studenti, impiegati e personaggi stravaganti, così come modelle, prostitute e gran dame alla ricerca di esperienze esotiche", insomma, spiriti irrequieti poco inclini all’atmosfera più salubre e alle luci sfavillanti dell’Opéra. Fin dagli inizi, la satira di questi piccoli e fumosi locali venne vista con irritazione ma anche con una certa permissività, come una valvola di sfogo tutto sommato innocente, e che quindi non era il caso di osteggiare. Ma vent’anni dopo l’apertura del locale parigino, nel 1901, entra in scena il Kabarett tedesco: ha davanti una “K” in più, e ha dentro un notevole carico di veleno. Già il nome del locale la dice lunga: Überbrettl, superpalcoscenico, una presa in giro dell’Übermensch, il superuomo di Nietzsche.
Charlie Chaplin ne "Il Grande Dittatore"
Arte degenerata |
Mentre nel resto d’Europa lo spettacolo satirico veniva tollerato e perfino
incoraggiato, come nel caso dell’Italia fascista con Petrolini, in Germania la
spina nel fianco dell’ironia graffiante non tardò a farsi nemici importanti.
L’ascesa del Nazismo non ammetteva grandi margini di tolleranza, e il kabarett venne
preso di mira e incluso nella lista nera di esempi di arte degenerata da
mettere al bando. Non già per i
contenuti sconci, tutt’altro: in una passeggiata, Hitler e Goebbels, tra una
chiacchierata e l’altra su come dominare il mondo, trovarono il tempo di
parlare di queste adunate di gente pericolosa, convenendo che lo sfondo erotico
della satira andava mantenuto, mentre la critica aperta al governo andava
stroncata a tutti i costi. Goebbels, nominato “Gauleiter” di Berlino, scatenò
una caccia violenta ai cabaret, ordinando la distruzione dei teatri e l’esilio,
l’invio nei campi di concentramento o l’assassinio degli artisti più rinomati.
Il cabaret oggi
| A distanza di parecchie decadi, oggi abbiamo il piacere di rivisitare canzoni
che sono diventate pietre miliari di questo repertorio. Ovviamente non è
possibile ricatturare il contesto sociale in cui questi brani sferzanti videro
la luce, né avere dentro di sé l’urgenza di cantare al mondo quello che non può
essere taciuto, accanto alla paura di venire tacitato per sempre. Quello che sgorga
da questi brani, a distanza di cent’anni, è il messaggio che ancora veicolano,
ossia la necessità e l’orgoglio di essere una voce individuale.
Il Marchese del Trillo 2019
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